Niente botti per festeggiare la fine del 2019. Più amministrazioni ne hanno fatto divieto, ma non saranno mille scintille nel cielo a mandar via un anno che cede il passo ad un nuovo decennio, al secondo dopo quello del 2000 che in ogni angolo del mondo, fu atteso e celebrato come l’inizio o la fine di una stagione, chissà perché, nuova. L’anno che si sta spegnando, per noi, genti del Sud, del Cilento e Vallo di Diano è stato un susseguirsi di eventi, di proteste, di conquiste, di rimpasti ideologici, talvolta così profondi da determinare riassetti che ancora attendono la fine.
E’ stato l’anno delle donne, più volte elette a sindaco, ma pure di quelle maggiormente offese, umiliate e violentate, così come spesso la cronaca racconta. Donne che sempre più spesso bussano alla porta dei centri antiviolenza, quasi cento in un solo anno, che raccontano storie di degrado e subcultura che non sta al passo delle crescenti campagne di sensibilizzazione. Ma è stato pure l’anno delle lotte, segnato da un sentimento di rivalsa e di diniego verso politiche spesso incondivise, gravide del seme della verità che tale non è.
E’ stato l’anno delle manifestazioni per gli ospedali abbandonati, della lotta ai numeri che ne determinato l’esistenza, l’assistenza alle genti del sud della provincia, quelli che rimangono nei paesi che muoiono. E’ stato l’anno delle piogge, intense fino a giugno, ma pure di siccità per molti paesi costieri, separati dal lembo della frana Rizzico, dall’altro pezzo di Cilento, dove qualche milione per mettere mano alla condotta Faraone è arrivato. E’ stato anche l’anno dei ragazzi che per sempre hanno lasciato il cuore sulla terra, Arturo, Antonio, Giorgia e Davide, ma pure l’anno dei grandi traguardi, del boom degli afflussi turistici, della ripresa del settore castanicolo, dell’ottimo raccolto per olive, del consolidamento di realtà imprenditoriali locali che fanno scuola.
E’ stato l’anno di Conte, il primo presidente del consiglio a Vallo della Lucania, nel Cilento. 100 sindaci gli hanno proposto un piano per aiutare il Sud a sottrarsi all’oblio. Per richiamare agli usci, ai campanili che non agitano più campane al vento, i ragazzi che vanno, per mai più tornare. Per la prima volta, 100 uomini avevano sul petto e nel cuore solo il tricolore, il vessillo che unisce tutti, propri tutti, in un anelito di speranza e amore per una storia unica, grande e gloriosa come quella delle genti del sud.